Quanto costa? No, la vera domanda è: quanto vale?

 Ho letto da qualche parte che se non possiamo permetterci l’olio d’oliva per friggere possiamo utilizzare quello di semi, questo sarebbe un ottimo metodo per risparmiare.

La cosa ha del surreale se penso che l’olio lo dobbiamo “mangiare” (un’azione che ha a che fare non con l’ingerimento meccanico ma con la NUTRIZIONE, cosa ben più complessa e delicata) e soprattutto che non trovo nessun articolo di illuminata economia del risparmio che mi consigli di non correre ad acquistare l’ultimo modello di I Phone, di rinunciare alla “oramai vitale” Pay TV, o di sentirmi integrato nella società anche se non indosso l’ultimo modello di tizio e caio.

Sarà una deformazione ma per me le parole RISPARMIO e CIBO insieme creano un ossimoro.

 

Ripetiamo a non finire che il cibo è un valore. La domanda è dunque: come è possibile giudicarlo nella classe delle merci, alla stregua di un elettrodomestico o di un paio di scarpe?

E, se questo non bastasse, come mai non riusciamo a renderci conto che  noi questa “merce” dobbiamo ingerirla?

Il consumatore si aspetta costi sempre più bassi e i grandi produttori continuano a spostarsi in paesi esteri dove gli standard produttivi e ambientali, nonché il costo della forza lavoro, sono più permissivi.

Ed è proprio la spasmodica ricerca del cibo a buon mercato la causa della vera crisi alimentare: se distruggiamo l’ecosistema con produzioni intensive e insostenibili la natura ci ripaga con eventi come siccità e inondazioni (che equivalgono a penuria dei raccolti), se sottopaghiamo gli agricoltori siamo causa di fame e malnutrizione, soprattutto nel Sud del mondo.

Se viene meno il valore culturale del cibo, scompare il patrimonio di conoscenze e tradizioni che ne sono alle spalle, scompare altresì il nostro senso di responsabilità nei confronti di un MONDO  più sostenibile e di una vita più salutare.

Scompare pure ciascun produttore, perché il cibo declassato al valore di merce potrebbe anche nascere sugli scaffali poco importa!,

e scompare anche la nostra identità di esseri pensanti. Non siamo più noi a decidere per noi stessi ma le leggi del mercato.

E invece il consumatore può essere parte attiva del processo di produzione, divenire “coproduttore” responsabile ed educato.

Come? Chiedendosi e chiedendo perché quel costo, quali problematiche ha dovuto affrontare il produttore di quell’alimento e quali benefici in termini di salute possono derivare da un acquisto più oculato.

Il cibo vero non ha un prezzo alto o basso, il cibo vero ha un “giusto” prezzo. La terra, il lavoro dell’uomo, gli eventi atmosferici, non hanno un valore economico. E neppure l’amore per noi stessi.

di Paola Sgobba

sgobba

 

(Paola Sgobba è una Giornalista, scrive per testate nazionali del settore Food e Viaggi: Gusto Sano, Bio Magazine, Slowly Veggie!.

È stata inviata dall’Italia per la rivista tedesca Buongiorno Italia, nonché socia attiva dell’organizzazione Slow Food, per cui ha svolto il ruolo di “Delegata Terra Madre” in occasione della quarta edizione del meeting mondiale tra le Comunità del Cibo nel 2010.

Grande appassionata di cucina sostenibile e benessere naturale, si occupa in particolare degli approfondimenti relativi all’alimentazione sana e agli itinerari enogastronomici.

Attualmente concilia la sua attività da giornalista con quella di media relations, curando l’immagine e la comunicazione online per importanti aziende del settore food e turismo.  )

Condivide la nostra filosofia ed è un onore per noi darle lo spazio della news per divulgare la cultura del cibo.

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