Vigne Chigi la storia di una passione
Ed eccoci nel meraviglioso mondo dell’Azienda agricola Vigne Chigi, per farci raccontare che cosa si nasconde dietro le loro incantevoli etichette, riproduzioni dei quadri presenti nella Reggia di Caserta dove vengono rappresentati gli amati cani da caccia dei Borboni.
Ci accolgono Giuseppe e Laura, vignaioli nel tempo libero, visto che nella vita quotidiana hanno un altro lavoro.
Ma poi, parlando con loro, capiamo che non impiegano in questa impresa solo il tempo libero, ma tutto il loro tempo e la loro passione e ci mettono il cuore.
Quando è la passione che guida il cuore, la mente e la mano non può che uscirne un’eccellenza!
Ecco cosa si nasconde dietro quelle meravigliose etichette, un vino di vitigni autoctoni ricchi di storia ma di una potenzialità ancora tutta da scoprire, perché al momento i vitigni di Vigne Chigi sono ancora a coltura integrata ma presto diventeranno anche le colonne di un’azienda Biologica.
Immersi nel verde, a volte selvaggio, di un paesino vicino a Capua, Pontelatone, alle pendici del Monte Friento, insieme a Laura e Giuseppe gustiamo il meraviglioso Pallagrello Bianco Igp Terre del Volturno 2014,
Il Pallagrello è un antico vitigno autoctono, si pensa d’origine greca, già da allora conosciuto per la sua qualità, tanto da essere uno dei preferiti nella corte dei Borboni.
Il vino esprime note di agrumi, frutta esotica, melone e una spiccata sapidità. Un vino tutto da scoprire, insieme al meraviglioso territorio dove ci troviamo, ricco di arte e di storia oltre che di cultura enogastronomica.
Ed è proprio da questa storia che Giuseppe, consultando i vecchi libri della biblioteca di famiglia, scopre l’antica ricetta di un formaggio servito alla corte dei Borboni ed ora non più in uso.
La sua passione lo porta ad andare a fondo nelle sue ricerche per poter offrire ai suoi clienti, insieme al vino, un sapore ormai dimenticato, “perché ogni sorso del nettare degli Dei, o in questo caso dei reali, venga accompagnato da un formaggio altrettanto reale ma dimenticato”, nasce così una produzione di nicchia del Capo Tempo di Capua, ma … vorrei proseguire con il vino per poi raccontarvi del formaggio;)
Quindi è questa passione travolgente ed un sogno da realizzare uniti al richiamo ancestrale della propria terra che diventa la filosofia di vita di Laura e Giuseppe e che hanno fatto diventare il marchio Vigne Chigi quello che rappresenta oggi, un’azienda che nei primi mesi del 2015 è stata premiata da Decanter World wine awards per il Casavecchia 2013 ed il Cretaccio 2011.
L’altro vitigno autoctono è il Casavecchia che, come il Pallagrello bianco e nero, è inserito in un ambiente naturale di straordinaria bellezza, in un’ area dove i terreni sono da secoli vocati alla viticoltura ed è per questo che ai vitigni di Vigne Chigi viene dedicato ogni giorno tanto lavoro ed attenzione: il sogno di Giuseppe e Laura era quello di creare, da questi terreni di famiglia, dei vini unici, capaci di valorizzare un patrimonio territoriale assolutamente straordinario.
La passione è un piacere da condividere ed è così che Giuseppe ci ha spiegato la sua idea di come sono e saranno sempre i loro vini, unici ed eccellenti, in grado di esprimere la tipicità delle loro terre baciate dal sole.
E’ da questa idea di fondo che nasce la loro grande fiducia verso i due vitigni autoctoni: Casavecchia e Pallagrello bianco e nero, capaci di creare vini inconfondibili e di grande personalità.
Sono Vitigni antichi che già i Borboni scoprirono fin da subito del loro insediamento e da cui ottennero per tutto il loro regno vini da servire a corte unitamente alle grandi etichette straniere. Ferdinando IV apprezzò talmente queste uve che ordinò ai giardinieri di corte di inserirle in due dei dieci raggi della spettacolare Vigna del Ventaglio.
Ecco spiegato il motivo per cui le etichette riproducono i cani da caccia reali, l’altra grande passione dei sovrani.
E come abbiamo raccontato la passione e l’orgoglio di Laura e Giuseppe per il vino di Vigne Chigi, così ora vogliamo parlarvi anche del loro orgoglio per aver riscoperto la bontà di un formaggio dimenticato.
L’ORIGINE DEL FORMAGGIO CAPOTEMPO DI CAPUA
Non sono molti i formaggi che possono vantare un lungo pedigree, ma il Capotempo di Capua può ben dirsi figlio della storia.
Nasce nel cuore della Campania Felix tra la piana tagliata dal Volturno, quella che il Granata nel 700 ricorda come i ‘ricchi Mazzoni’, e le dolci colline del Monte Maggiore.
La sua prima traccia storica è nel ” Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli ” di Lorenzo Giustiniani del 1796, per poi essere ripreso, con una descrizione più attenta, nel Dizionario Geografico Universale
( G. B. Carta 1843 ).
Intorno al Capotempo scorre una storia, forse una leggenda, che la tradizione conserva gelosamente.
Il Capotempo di Capua e’ un formaggio a crosta fiorita prodotto con il latte di vacca Bruna a stabulazione libera nell’areale capuano, l’alimentazione è tradizionale con fieni aziendali e cereali.
Viene coagulato con caglio liquido di vitello e la rottura della cagliata avviene dopo 40 minuti dall’inoculo del caglio ed e’ abbastanza grossolana così da mantenere, anche a stagionatura prolungata, la sua tipica accentuata morbidezza.
Messo in forma, lo spurgo del siero viene effettuato con un processo di stufatura, per una durata di circa 3 ore, durante le quali avvengono continui rivoltamenti delle forme. Dopo 24 ore avviene la salatura, a secco, e successivamente inizia la stagionatura e la lavatura con il vino Pallagrello Bianco di Vigne Chigi, ambedue variabili quantitativamente a seconda della pezzatura della caciotta.
La stagionatura dura da un minimo di 60 ad un max 150 giorni.
In origine veniva consumato solo al naturale.
Oggi è diventato anche la base di diverse ricette gourmet della Campania ed in particolare di Capua, come le classiche patate al gratin preparate con il CAPOTEMPO di CAPUA fuso e…. ma qui inizia un’altra storia;)
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